Quantcast
Channel: LIBRE » Pkk
Viewing all articles
Browse latest Browse all 20

Ilisu, no alla diga-mostro: la Turchia rispetti i Curdi

$
0
0

Nessuna tutela per i 60.000 abitanti, tutti curdi, che sarebbero stati sommersi dalle acque del Tigri: per questo, l’Europa rinuncia alle dighe di Ilisu e lascia la Turchia senza i mezzi necessari per realizzare il gigantesco sistema di bacini artificiali (22 sbarramenti e 19 centrali idroelettriche), il cui costo è stimato sugli 80 miliardi di dollari. Gli istituti finanziari europei si ritirano quindi dal progetto, accusando il governo turco di non aver rispettato i diritti delle popolazioni coinvolte. Per la prima volta, osserva il network “PeaceReporter”, le autorità europee adottano un rigido profilo etico nell’approccio verso una grande opera pubblica.

La decisione è stata annunciata nei giorni scorsi: le banche che finanziavano il progetto hanno ritirato la loro partecipazione (1,2 miliardi di ilisu-1euro, per avviare i lavori) lasciando solo il governo turco di fronte a una spesa immensa. «La sensazione – scrive Christian Elia su “PeaceReporter” – è che più dei diritti delle popolazioni civili interessate poté la crisi economica, ma il comunicato stampa diffuso il 7 luglio dalle agenzie per l’esportazione del credito di Germania, Austria e Svizzera rende onore alle necessità di tutte quelle persone che avrebbero visto la loro vita sconvolta da grande bacino idrico».

Gli abitanti appartengono alla comunità curda, che vive nella valle del Tigri vicino al confine con l’Iraq, dove negli anni ‘90 – a causa della resistenza del Pkk – la Turchia ha condotto una durissima repressione, giungendo a radere al suolo quasi 3.500 villaggi. E’ in un’area già così duramente provata che, negli ultimi anni, ha preso corpo il progetto della diga, strategica per il controllo delle fonti idriche nella regione.

«L’accordo stipulato, fin dall’inizio, prevedeva il rispetto di rigide condizioni», recita la nota per la stampa diffusa dalle agenzie Euler Hermes Kdreditversicherung (tedesca), Kontrollbank (austriaca) e Exportrisikoversicherungg (svizzera). «L’obiettivo principale consisteva nella riduzione al minimo dell’impatto della centrale idroelettrica sugli abitanti della regione, sull’ambiente e sui beni culturali», precisa il comunicato.

Nonostante i notevoli miglioramenti, le fonti europee rilevano «lacune» su alcuni punti essenziali, come ad esempio «la mancanza di uno studio di ilisu-3fattibilità sullo spostamento delle rovine di Hasankeyf in un parco di beni culturali» e anche «l’assenza di una regolamentazione che stabilisca l’indennizzo da pagare secondo gli standard internazionali ai 60mila sfollati».

Tutte motivazioni nobili, come quella sulla distruzione di Hasankeyf, che avrebbe cancellato per sempre un sito millenario. «Nessuno saprà mai se la decisione del consorzio finanziario, comunicato alla scadenza dell’ultima proroga di 180 giorni concessa al governo turco per applicare le condizioni preliminari, sia stata dettata dalla cattiva congiuntura o dalla cattiva pubblicità che avrebbe garantito loro un progetto osteggiato da tanti», osserva “PeaceReporter”. Resta che questa decisione regala un sospiro di sollievo a tante persone, almeno per ora.

Il progetto di Ilisu, risalente al 1954, resta molto controverso. Per i turchi, l’annullamento del finanziamento non ha motivazioni tecniche, ma politiche: «La Turchia in questo momento è una grande potenza nella sua area, ed è del tutto naturale che alcuni paesi si sentano disturbati da questa realtà», ha detto il ministro dell’ambiente Veysel Eroglu, riferendosi direttamente all’Iraq, da sempre contrario al progetto. Anche se Ankara ostenta sicurezza, l’annunciato inizio dei lavori per il 30 luglio prossimo è da ritenersi superato: il credito europeo era fondamentale per avviare l’opera.

Secondo il governo turco, il colossale sistema idroelettrico di Ilisu non distruggerà il contesto socio-culturale del bacino ma anzi «porterà occupazione e sviluppo in una regione economicamente depressa». Non la pensano così, però, gli abitanti della zona, la cui gioia all’annuncio europeo è esplosa in feste e balli. «Ho subito sentito gli esponenti delle associazioni e delle organizzazioni non governative che si sono battute contro le dighe e siamo tutti contenti», ha detto a “PeaceReporter” il giovane avvocato napoletano Luca Saltalamacchia, in prima fila nella battaglia legale in rappresentanza delle popolazioni locali.

«Saltalamacchia – spiega “PeaceReporter” – si è sempre confrontato con i vertici del gruppo Unicredit, mettendoli di fronte alle loro responsabilità morali nel caso avesser finanziato il progetto». Il gruppo amministrato da Alessandro Profumo, infatti, controlla la Bank of Austria Creditanstalt, uno degli istituti che finanziano il progetto della super-diga. Unicredit sarebbe quindi stata coinvolta nell’operazione, anche se indirettamente. Per questo, Saltalamacchia ha condotto una dura battaglia, in Italia, contro la partecipazione del gruppo finanziario alla maxi-opera nella valle del Tigri.

«Quando è stato emesso il comunicato delle agenzie per l’esportazione del credito – racconta Saltalamacchia - abbiamo tempestato di e-mail tutti i dirigenti di Unicredit con i quali ci siamo interfacciati in questi anni». La dirigenza Unicredit ha risposto all’appello, annunciando il ritiro: nel sito del gruppo finanziario compare un comunicato che cita proprio le rimostranze delle ong sulla sostenibilità del progetto tra i motivi della decisione. «Per non pagare la penale prevista – aggiunge Saltalamacchia – aspettavano che le altre agenzie si pronunciassero, ma avevano capito che sarebbe comunque stato un disastro mediatico».

Importante, quindi, anche la mobilitazione italiana e la pressione sulle banche. «E’ un precedente importante», conferma Saltalamacchia. «Pressando i finanziatori abbiamo ottenuto che questi pressassero le agenzie per ottenere che il governo di Ankara applicasse i prerequisiti richiesti». Anche se il problema resta sul tappeto, visto che la Turchia non intende rinunciare al progetto, l’episodio fa registrare un cambio di rotta senza precedenti nei rapporti tra le multinazionali e i diritti umani delle popolazioni civili interessate dai grandi progetti economici. «Un meccanismo virtuoso che spero si trasformi in un’onda», dice l’avvocato napoletano.

Molto soddisfatto anche Mauro Colombo, il regista di “Hasankeyf, waiting life”, documentario che raccontava l’attesa impotente della popolazione interessata dal progetto che, dagli anni Cinquanta, incombe sul loro futuro. «Quello che è accaduto è un caso raro, ed è il benvenuto: un progetto come questo fermato da considerazioni non solo finanziarie è un’ottima notizia», dichiara Colombo a “PeaceReporter”. «’Mi auguro solo che adesso la condizione delle popolazioni di quella regione non resti, ancora una volta, sospesa».

Il governo turco vuole andare avanti, spiega il regista, e c’è il rischio che Ankara continui a tenere la regione nella situazione attuale. «Manca tutto, davvero. C’è urgente bisogno di forti investimenti per lo sviluppo della regione. La gente ha paura che, prima o poi, il progetto si realizzi e nessuno si sente d’investire in un luogo che, tra vent’anni, potrebbe non esserci più» (info: www.peacereporter.net).

STOP TO ILISU DAM - Europe decides to stop the financial project for the great Ilisu dam, because Turkey doesn’t respect the rights of the local Kurd population in Tigris valley, near the historical site of Hasankeyf ruins (info: www.peacereporter.net).


Viewing all articles
Browse latest Browse all 20

Latest Images

Trending Articles